Stesso numero di studi e della stessa qualità per i biosimilari, prodotti simili ma non uguali ai medicinali biotech per i quali i brevetti hanno iniziato a scadere. E’ quanto chiede con forza la maggioranza degli oncologi (53%) e dei nefrologi (61%) del Lazio alle Istituzioni sanitarie italiane.
Specialisti che però dimostrano di saperne poco: per più di uno su tre, infatti, la differenza tra biosimilari e generici non è chiara, e ciò, nonostante ben il 90% degli oncologi e l’85% dei nefrologi operanti in regione utilizzi farmaci biotech per i propri pazienti. I dati emergono dal workshop regionale “Farmaci biotech e farmaci biosimilari, specialisti a confronto” tenutosi oggi all’Istituto Regina Elena (IRE) di Roma, promosso dalla Fondazione degli oncologi medici italiani (AIOM), dalla Società Italiana di Nefrologia (SIN) e dalla Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici delle Aziende Sanitarie (SIFO). “I risultati del sondaggio condotto tra 80 oncologi medici e 40 nefrologi del Lazio parlano chiaro – afferma Francesco Cognetti dell’oncologia dell’IRE – gli specialisti che più utilizzano molecole biotech raccomandano di recepire appieno le normative comunitarie e di legiferare come già fatto da altri Paesi in Europa come Francia, Spagna, Svezia, Germania e Slovenia dove le nuove norme adottate impediscono al farmacista ospedaliero di sostituire con un analogo biosimilare la prescrizione di un farmaco biotech. Del resto, fatti i conti e data l’enorme complessità e difficoltà di produzione di queste molecole, il risparmio ottenibile è abbastanza risicato. “Credo che una legge sui biosimilari sia necessaria – afferma il prof. Francesco Locatelli, past president della SIN e della Società Europea di Nefrologia – infatti nell’attuale sistema sanitario, a rischio di frammentazione in quante sono le Regioni, servirà ad assicurare una linea di comportamento unica e uguale per tutti”.
Il workshop sui biosimilari e il sondaggio fanno parte di un progetto della Fondazione AIOM che ha già all’attivo due convegni nazionali con due volumi di atti pubblicati, un booklet e un sito internet (www.biosimilari.it), iniziative realizzate grazie al sostegno di Roche. Altri workshop regionali sono in programma nei prossimi mesi in tutt’Italia.
Dal sondaggio emerge anche che alla domanda se “i biosimilari siano identici rispetto al farmaco originale così come accade per i farmaci equivalenti o generici”, gli oncologi o non sanno rispondere (20%) o rispondono di sì (14%). “La dimostrazione di bioequivalenza è sufficiente a qualificare un biosimilare?” I nefrologi del Lazio che sostengono di sì, sbagliando, sono il 6%, e sommati ad un 29% che non sa rispondere, danno un 35% complessivo di risposte errate o non date, e un 31% per gli oncologi in regione. Le percentuali di risposta a quest’ultima domanda in Lazio sono più confortanti rispetto ai dati medi italiani che sono il 41% per i nefrologi (+6% rispetto al Lazio) e il 38% per gli oncologi (+7%). “Dovrebbe essere chiaro a tutti che mentre l’equivalenza è relativamente di facile dimostrazione per un normale farmaco chimico di sintesi – spiega Cognetti - non lo è per un farmaco originato da materiale vivente e che quindi per sua stessa natura può subire piccole modifiche specie nel processo di produzione che possono portare a grandi problemi, anche immunologici per i pazienti, o comunque ad una diversa azione. Non abbiamo ancora strumenti sofisticati che ci permettano di valutare l’effettiva equivalenza di prodotti biotech, simili ma non uguali all’originatore. Ne deriva che è necessaria la massima farmaco vigilanza. Inoltre va rilevato che gli studi finora considerati dall’Emea per concedere il nulla osta ad alcuni prodotti biosimilari già in commercio in alcuni Paesi europei, si basano su pochi casi osservati e che per il capitolo sicurezza si rimanda agli studi di sorveglianza post-marketing. E’ quindi necessario anche da parte dell’Emea una più stringente regolamentazione tramite linee guida ‘ad hoc’, peraltro già promulgate in sede comunitaria. Infine - conclude Cognetti – mi sembra sia il giunto il momento che anche le nostre Istituzioni regolamentino la materia”. E, secondo i risultati del sondaggio, circa l’80% degli specialisti oncologi e nefrologi del Lazio sono d’accordo con le regole finora adottate dagli altri Paesi europei e ben il 90% è favorevole alla creazione di un tavolo di lavoro comune sui biosimilari tra Istituzioni sanitarie, rappresentanti delle aziende, società scientifiche, rappresentanti dei medici e dei pazienti.